“La spesa per l’istruzione non è un costo, ma un investimento capace di generare valore economico e sociale nel lungo periodo”.
È questo il messaggio con cui la Commissione Europea apre il report Investing in Education 2025, uno studio che fotografa l’andamento degli investimenti in istruzione nei diversi Paesi membri.
Purtroppo, i dati mettono in evidenza una realtà poco incoraggiante: l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per risorse destinate all’istruzione, dall’infanzia all’università.
Italia fanalino di coda nella spesa pubblica
Il report, basato su dati Eurostat 2023, mostra chiaramente come la quota di spesa pubblica italiana destinata alla scuola sia molto più bassa rispetto alla media europea.
- In Italia l’istruzione riceve solo il 7,3% della spesa pubblica complessiva, contro il 9,6% della media UE.
- Nessun altro Paese dei 27 membri investe così poco in proporzione: siamo superati non solo da Francia, Germania e Spagna, ma anche da Stati entrati di recente come Lituania, Lettonia ed Estonia.
Un dato che certifica la posizione marginale che il nostro Paese assegna al settore educativo.
Investimenti in rapporto al PIL: ancora peggio
Anche considerando il rapporto tra spesa in istruzione e Prodotto Interno Lordo, la situazione resta critica.
- Con appena il 3,9% del PIL, l’Italia è terz’ultima in Europa, davanti solo a Romania (3,3%) e Irlanda (2,8%).
- La media europea si attesta al 4,7%, mentre Paesi come la Francia (5,0%) e la Germania (4,5%) investono molto di più.
Ciò significa che l’Italia destina quasi un punto in meno rispetto alla media UE, accentuando il divario con i principali partner europei.
Un trend in calo negli ultimi anni
Il quadro diventa ancora più preoccupante guardando l’evoluzione degli ultimi anni.
- Nel 2020 l’Italia destinava all’istruzione il 4,3% del PIL.
- Nel 2023 questa quota è scesa al 3,9%, mentre in gran parte d’Europa si registrava una ripresa dopo la crisi legata alla pandemia.
Invece di recuperare terreno, il nostro Paese ha continuato a disinvestire.
Il ruolo del governo attuale
Qualcuno potrebbe obiettare che i dati si fermano al 2023, ma è bene ricordare che già includono una parte dell’operato del governo Meloni, in carica dal 2022.
In questi anni non si è assistito a un cambio di rotta:
- il rinnovo del CCNL Istruzione e Ricerca 2022/24 è ancora fermo, con aumenti salariali previsti del 6%, ben al di sotto di un’inflazione oltre il 17%;
- oltre 700 istituzioni scolastiche sono state chiuse per dimensionamento;
- sono stati tagliati 8.500 posti tra docenti e personale ATA.
Un quadro che conferma la scarsa priorità data alla scuola pubblica.
Crescono invece i fondi alle scuole private
Mentre la scuola pubblica soffre, il governo ha aumentato in maniera significativa i finanziamenti alle scuole paritarie:
- nel 2021 i contributi erano di circa 551 milioni di euro;
- per l’anno scolastico 2024/2025 la cifra è salita a oltre 750 milioni.
E la Presidente del Consiglio ha già annunciato la volontà di incrementare ulteriormente questi fondi, sostenendo la necessità di garantire alle famiglie la “libertà educativa”.
Tuttavia, come ricorda l’art. 33 della Costituzione, le scuole private possono operare solo senza oneri per lo Stato. Spostare risorse pubbliche su istituti privati rischia dunque di violare lo spirito costituzionale.
Conclusione: quale direzione per il futuro?
Alla luce di questi dati, appare evidente come l’Italia stia scegliendo di disinvestire nella scuola pubblica, privilegiando altre priorità. Una decisione che stride con quanto avviene nel resto d’Europa, dove l’istruzione è considerata un pilastro per lo sviluppo economico e sociale.
La prossima legge di bilancio sarà la prova concreta per capire se il governo intende invertire il trend negativo e sostenere davvero il diritto universale all’istruzione, oppure se continuerà a favorire interessi di parte a scapito del bene comune.