Anomalie nei bandi Link Campus University: intervengano MUR e CUN

Anomalie nei bandi

Roma, 27 gennaio 2021

  Al Ministero dell’Università e della Ricerca

Al presidente del CUN e al CUN

OGGETTOgravi anomalie nei bandi di reclutamento Link Campus University.

Egregio Signor Ministro, signor Presidente e componenti del CUN,

vi scriviamo in questi momenti concitati della vita politica, i cui esiti sono ancora indeterminati, per segnalare vicende che riteniamo gravi e che pensiamo debbano vedere un’attivazione del CUN e un immediato intervento del Ministero dell’Università e della Ricerca.

Il sistema universitario italiano è oggi tenuto insieme da alcune norme e criteri che impongono a tutti gli Atenei (statali, non statali e privati) un inquadramento comune sia al loro personale docente sia ai loro corsi di studio (stato giuridico pubblico dei docenti universitari; ordinamenti e criteri quantitativi e qualitativi per l’accreditamento dei corsi). (1)

Da qualche anno però alcuni atenei non statali provano ad aggirare in qualche modo queste norme e questi criteri, per contenere i costi o per indirizzare il lavoro docente e di ricerca dei docenti. Basta guardare i dati sui numeri e gli inquadramenti del personale docente, liberamente disponibili nel dettaglio sulla relativa Anagrafe del MUR: un piccolo numero di istituzioni ricorre in modo esorbitante a personale precario, anche con numeri incongrui di figure particolari (come i professori straordinari secondo la legge 230/2005, cioè docenti ordinari a tempo determinato, assunti con fondi specifici ed esterni all’Ateneo).

La Link Campus University ha oggi un personale docente di 35 unità, di cui oltre il 40% a tempo determinato (4 RTDa e 10 straordinari), mentre la percentuale delle posizioni a tempo determinato nell’organico complessivo dell’università italiana è intorno al 10%. In questo quadro, il suddetto ateneo ha recentemente emesso venti bandi per posizioni da professore Associato, per rispondere ai criteri qualitativi e quantitativi previsti per l’accreditamento dei suoi corsi di studio.

L’analisi di questi bandi evidenzia però, a giudizio della nostra organizzazione sindacale, alcune gravi e inaccettabili anomalie, ai sensi della normativa vigente, che non possiamo non denunciare.

In primo luogo, tutti e venti i bandi (art 11) prevedono l’assunzione di posizioni a tempo definito. L’attuale normativa per la docenza universitaria, che come detto riguarda tutti i docenti universitari in qualunque ateneo prestino servizio (statale o non statale) prevede (con l’art 11 e l’art 22 del DPR 382 del 11 luglio 1980, ancora vigente), che “Ciascun professore può optare tra il regime a tempo pieno ed il regime a tempo definito”. Diversamente infatti da quanto previsto per il Ricercatori a tempo determinato dall’art 24 (comma 4) della legge 240 del 30 dicembre 2010 (in cui i contratti di tipo a e di tipo B possono esplicitamente esser attivati in regime di tempo pieno o di tempo definito), per i docenti universitari di ruolo la scelta è lasciata al singolo (su base annuale) perché ad ogni regime corrispondono diritti diversi. In particolare, infatti, l’art 6 comma 12 della legge 240 del 30 dicembre 2010 stabilisce che chi è in regime a tempo definito ha la possibilità di svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, ma che tale posizione è incompatibile con l’esercizio di cariche accademiche, secondo quanto disposto dagli Statuti di ateneo. Prevedere quindi delle posizioni a tempo pieno o definito per bando di concorso, togliendo la facoltà di scelta ai singoli docenti, non solo comporta una contrazione di stipendio (e quindi un risparmio da parte dell’Ateneo), ma limita una libertà del docente espressamente prevista dalla normativa vigente.

In secondo luogo, tutti e venti i bandi (art 8) introducono un periodo di prova, della durata di tre mesi, in cui il Professore e/o l’Università possono recedere dal contratto in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso né di indennità sostitutiva del preavviso. Tale previsione del bando si configura non solo come indebita, ma come contraria alla ratio ed alla norma vigente per i docenti universitari. Sino all’entrata in vigore della legge 240 del 30 dicembre 2010 per tutti i docenti universitari era previsto un periodo di conferma (della durata di 3 anni), in cui però erano prevista una procedura nazionale di controllo e valutazione per ottenere la conferma in ruolo, da parte di una commissione di docenti della disciplina. Questo, appunto, per tutelare da una parte la libertà di ricerca e insegnamento, dall’altra per conferma il carattere comparativo e pubblico della scelta dei docenti universitari, non prevedendo la possibilità di procedere a selezioni in sede successiva alle chiamate di concorso (introducendo quindi criteri altri rispetto alla valutazione scientifica che avveniva in sede di concorso). L’introduzione di questo articolo si configura quindi come particolarmente grave e preoccupante, proprio perché si configura come meccanismo indebito di selezione ex post del personale docente.

Infine, tutti e venti i bandi (art 9, comma 3) prevedono la possibile cessazione del rapporto di lavorodeterminata dal recesso motivato di una delle due parti, a valere dal momento della comunicazione all’altra parte, o da ogni altra causa di risoluzione prevista dalla normativa vigente. Questa possibilità contrasta con la normativa vigente, che prevede il mantenimento per i docenti universitari di uno stato giuridico pubblico, estraneo al processo di privatizzazione dei d.lgs. 29/1993 dei decreti 396/1997, 80/1998 e 387/1998 (le cosiddette riforme Bassanini). Questo, come per i magistrati, appunto per evitare ogni processo (motivato o meno) che possa portare ad una risoluzione del rapporto di lavoro che possa limitare la loro libertà, nella fattispecie di ricerca o di insegnamento. Introdurre nel bando tale disposizione, apre quindi la possibilità di legare la sicurezza del proprio posto di lavoro a specifiche scelte accademiche, in sé discrezionali e perseguibile per ogni tipo di scopo (come il mantenere attivo determinati insegnamenti o corsi di laurea), introducendo quindi attraverso i bandi un possibile strumento di continuo controllo e subordinazione della futura attività del singolo docente.

Ora, come organizzazione sindacale ci è chiaro che tutte queste disposizioni, contro la ratio e la lettera della normativa vigente, saranno facilmente impugnabili dai lavoratori e dalle lavoratrici interessati/e, e quindi poco utilizzabili nella prassi da parte di chiunque. Eppure, da una parte riteniamo grave che bandi pubblici per la selezione dei docenti universitari abbiano potute prevedere disposizioni di questo tipo, dall’altra denunciamo l’introduzione di forme e strumenti che si configurano come una limitazione e un controllo della libertà di ricerca e di insegnamento in questo paese.

Vi scriviamo quindi perché riteniamo quindi indispensabile e non eludibile un immediato intervento delle autorità di controllo e vigilanza del sistema universitario che porti all’annullamento dei bandi in questione.


(1) Questa particolare configurazione dell’università italiana ha garantito sino ad oggi non solo la libertà di ricerca e di insegnamento, valore costituzionale per noi fondamentale, ma anche un un’elevata omogeneità e qualità della sua formazione (come riconosciuto universalmente ed evidente anche in una recente ricerca sui rankings QS e THE, che normalizzando i dati rispetto al numero di atenei in ogni Paese, mostra come il sistema universitario italiano sia complessivamente tra i migliori, avendo più del 40% delle proprie istituzioni tra le migliori mille – sui circa 20mila atenei nel mondo -, mentre gli Stati Uniti ne hanno solo l’8% del totale).

Il Segretario generale FLC CGIL
Francesco Sinopoli

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