Negli ultimi giorni il Ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha più volte dichiarato di aver chiesto al collega dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’istituzione di un fondo nella prossima legge di bilancio. L’obiettivo sarebbe ridurre il divario salariale tra il personale degli enti locali e quello dei ministeri centrali. I dati ufficiali confermano che nel 2022 i dipendenti degli enti locali hanno percepito stipendi più bassi del 18,9% rispetto ai colleghi delle funzioni centrali.
Un principio di perequazione salariale è certamente condivisibile. Tuttavia, resta inspiegabile perché in questa operazione venga escluso il comparto Istruzione e Ricerca, che da anni registra le retribuzioni più basse dell’intera Pubblica Amministrazione. Gli aggiornamenti forniti dal Conto Annuale/Mef 2023 evidenziano chiaramente questo squilibrio.
Secondo le rilevazioni, i lavoratori del settore Istruzione e Ricerca percepiscono in media 8.587 euro annui in meno (-22,95%) rispetto ai dipendenti dei ministeri centrali e 6.804 euro in meno (-18,62%) rispetto alla media complessiva della PA. Un divario che appare ingiustificato se si considera che le funzioni svolte da docenti, ricercatori e personale Afam hanno un valore fondamentale per il futuro del Paese.
La domanda al Ministro Zangrillo è quindi inevitabile: perché un trattamento così penalizzante proprio verso chi garantisce il diritto all’istruzione e alla ricerca? E davvero qualcuno pensa che il bonus annunciato dal Ministro Valditara – 10 euro al mese per un solo anno – possa ridurre un gap di tale portata?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: con queste scelte politiche, il sistema pubblico di istruzione rischia una continua svalorizzazione, mentre oltre 1,2 milioni di lavoratori vedono progressivamente impoverito il proprio ruolo, pur continuando ogni giorno a garantire un servizio essenziale a tutta la collettività.