Scuola e precarietà: morire per un lavoro

Scuola: scheda di approfondimento FLC CGIL su supplenze ata a.s. 24/25
Alessandra Casilli, docente precaria, ha perso la vita in un incidente stradale, di ritorno dalla prova orale del concorso. La morte di Alessandra non è una fatalità e anche per questo va ricordata non solo con grande dolore ma con rabbia

La settimana scorsa, l’11 giugno, una docente, Alessandra Casilli, è morta sul lavoro. Casilli insegnava matematica come supplente al liceo Rocci di Passo Corese. È morta schiantandosi contro un camion sulla strada statale Venafrana. La statale Venafrana è una delle strade più pericolose d’Italia, teatro di molti incidenti mortali; da tempo viene chiesto al governo di provvedere ai lavori di allargamento della carreggiata, senza ascolto. 
Casilli stava tornando da Campobasso a Roma. A Campobasso aveva svolto l’esame orale per docenti per la classe di concorso A040 – Scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche. A Roma la aspettava una cena di classe. 

Gli esami fuori regione sono una indecente consuetudine dei concorsi per docenti, servono a far risparmiare soldi all’amministrazione che accorpa più commissioni, e sono una pena aggiuntiva per chi vuole uscire dal precariato. Alessandra Casilli aveva 54 anni, era ancora una docente precaria, come un quarto dei docenti italiani. Precari storici, come si usa dire con un desolante ossimoro. Persone che svolgono un lavoro fondamentale e strutturale per il funzionamento della scuola italiana, ma per cui lo stato non ritiene giusto garantire il diritto a un lavoro dignitoso. “Per andare a fare i concorsi, ad esempio, i docenti non di ruolo debbono chiedere un giorno di permesso, che però non viene retribuito. I posti messi a bando nei concorsi non bastano mai per coprire le cattedre disponibili”, come hanno scritto, ricordando Alessandra, le sue colleghe e i suoi colleghi in un’importante lettera aperta, destinata al ministro Valditara, che va letta sul sito di Domani. 

La morte di Alessandra Casilli non è una fatalità ma una morte sul lavoro, come viene appunto ricordato da chi faceva parte della sua stessa comunità scolastica e aveva condiviso il lavoro dell’anno, compresi gli scrutini che erano in corso la settimana scorsa. La giurisdizione italiana, parla di morti sul lavoro “in itinere”, per quegli incidenti che avvengono negli spostamenti tra casa e posto di lavoro, o tra un posto di lavoro e un altro. Ma la morte di Casilli mostra, se si può dire, un carattere ancora più drammatico della svalutazione del lavoro in Italia: il tempo di qualità che i docenti dedicano alla propria formazione non viene considerato lavoro, il tempo di qualità che i docenti dedicano alla relazione educativa e alla cura degli studenti fuori dalle mura scolastiche non viene considerato lavoro.

Il ministro Valditara spesso ripete che occorre restituire autorevolezza alla classe docente; ritiene che quest’autorità possa essere ripristinata concedendo più potere disciplinante nei confronti degli studenti e delle famiglie – con il maggiore valore dato al voto in condotta, per esempio – e stabilendo nuove arbitrarie regole di controllo attraverso i codici di comportamento. Parla, senza evidenze, di un aumento delle violenze personali contro il corpo docente, per cui da poco ha previsto l’arresto in flagranza. In realtà questa retorica è allarmista e autoritaria, e non considera che invece l’unica violenza sistemica che viene inflitta ai docenti è quella di uno stato che continua a precarizzare, a sfruttare, e umilia la professionalità dei docenti che per svolgere con serietà il proprio lavoro, sono costretti a non considerare la stanchezza, a togliere tempo alla propria vita personale, ai propri affetti, al riposo.

Alla classe docente italiana non serve uno fantasmatico status da magister, come è evocato dalle nuove indicazioni ministeriali. Serve stabilizzazioneformazione di qualità – non attraverso corsi farseschi e costosi spesso svolti presso le università telematiche –, salari adeguati al costo della vita e al crescere dell’inflazione, riconoscimento e investimento nelle competenze professionali – “In un anno passato con noi come supplente Alessandra ha mostrato sempre grande professionalità: si è messa in gioco nella valutazione educativa, ha studiato, fatto didattica, frequentato corsi di formazione; il tutto mentre preparava i concorsi”, come viene scritto ancora nella lettera. 
Questa morte sul lavoro va ricordata, non solo con grande dolore ma con rabbia. Per un senso di quella giustizia che Alessandra Casilli non ha avuto in vita.  

La lettera delle colleghe e dei colleghi.

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